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“Dietro la maschera del maranza: storie di paura, rabbia e voglia di essere visti” - Luca Nali

“Dietro la maschera del maranza: storie di paura, rabbia e voglia di essere visti” - Luca Nali

“Dietro la maschera del maranza: storie di paura, rabbia e voglia di essere visti”

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“Dietro la maschera del maranza: storie di paura, rabbia e voglia di essere visti”

“Dietro la maschera del maranza: storie di paura, rabbia e voglia di essere visti”

Di Luca Nali

Cammina con lo sguardo fisso davanti a sé, le mani infilate nelle tasche della felpa firmata e lo sguardo che sfida il mondo. Intorno a lui, gli amici ridono sguaiati, un branco rumoroso che riempie la piazza. “Maranza”: è così che li chiamiamo. Ragazzi che si muovono con un’aria di sfida, che sembrano sempre sul punto di reagire, anche se nessuno ha ancora parlato. Ma chi sono davvero? E cosa si nasconde dietro quella corazza fatta di musica trap, scarpe costose e occhi che sembrano dire: “Non mi fregate”?

Chi è davvero un “maranza”?

Un maranza non è solo un ragazzo che veste in un certo modo, che ascolta un particolare tipo di musica o che passa i pomeriggi con il gruppo alla fermata del tram. È un giovane che ha imparato a nascondere la propria fragilità dietro una maschera di durezza. La sua sicurezza è spesso solo apparente, una corazza che indossa ogni giorno per difendersi da un mondo che sembra averlo già scartato in partenza.

Molti crescono in periferie dove i marciapiedi sono rotti, le luci dei lampioni tremolano e i campetti di calcio sono pieni di erba alta. Crescono in famiglie dove la fatica quotidiana di arrivare a fine mese lascia poco spazio ai sorrisi. E allora la strada diventa scuola, famiglia, rifugio.

Il bisogno di essere visti

Dietro ogni maranza c’è spesso una storia che nessuno si è fermato ad ascoltare. C’è un ragazzo che forse non ha mai sentito qualcuno dirgli: “Sei bravo in questo, puoi farcela”. Il loro linguaggio, fatto di atteggiamenti ostentatori e sfide continue, è un grido di aiuto travestito da arroganza.

Ogni felpa firmata, ogni catena al collo, ogni atteggiamento da “duro” è un manifesto che dice: “Guardami. Io ci sono. Non sono invisibile”. Eppure, dietro quello sguardo sfidante, c’è spesso un ragazzo che la notte non dorme bene, che sente un vuoto allo stomaco che non riesce a colmare nemmeno con la musica a tutto volume nelle cuffie.

La paura di essere insignificanti

Se si potesse entrare, anche solo per un minuto, nella testa di un maranza, ci troveremmo un nodo stretto di paure. La paura più grande? Essere insignificanti. Essere uno dei tanti, una comparsa senza nome in una città che corre senza fermarsi.

Essere rispettati è un bisogno profondo, così come sentirsi parte di un gruppo. La rabbia e l’aggressività diventano strumenti per difendere il poco che hanno: la loro dignità. Ogni parola detta con tono di sfida, ogni spallata data passando per strada, è una barriera che innalzano per non far vedere le crepe che si nascondono sotto.

Il ruolo dei social: l’illusione della visibilità

I social sono spesso un palcoscenico perfetto per i maranza. Qui si sentono visti, commentati, riconosciuti. Una foto con una felpa griffata, un video dove si muovono sicuri davanti alla telecamera: per un attimo, si sentono protagonisti. Ma è un’illusione. La visibilità digitale non colma il vuoto emotivo. Quando lo schermo si spegne, la solitudine torna, ancora più pesante.

Cosa possiamo fare noi?

Capire un maranza non significa giustificare ogni loro comportamento. Significa guardare oltre la superficie, oltre la maschera che indossano ogni giorno.

• Ascoltarli: A volte basta un adulto che si prenda il tempo di fare una domanda vera, senza giudizio.

• Dare opportunità concrete: Corsi, sport, spazi sicuri dove possano esprimersi senza sentirsi ridicolizzati o esclusi.

• Educazione emotiva: Aiutarli a dare un nome alle loro paure, alla loro rabbia, ai loro sogni.

Perché dietro ogni maranza c’è un ragazzo che avrebbe potuto diventare altro, se qualcuno avesse investito un po’ di tempo, un po’ di ascolto, un po’ di speranza.

La fragilità nascosta dietro la corazza

Se togliessimo per un attimo quella felpa oversize, quella catena d’oro, e spegnessimo quella voce che urla attraverso le casse di uno smartphone, cosa vedremmo? Vedremmo un ragazzo. Un ragazzo come tanti. Con paure, sogni, cicatrici invisibili e un bisogno disperato di sentirsi accettato e amato.

Forse non possiamo cambiare il mondo in un giorno. Ma possiamo iniziare con un gesto: uno sguardo senza giudizio, una parola che non suoni come una condanna. Perché alla fine, dietro ogni “maranza” c’è solo un ragazzo che sta cercando di trovare il proprio posto nel mondo.

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