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I Signori dell’Immortalità – Enrica Perucchietti

I SIGNORI DELL'IMMORTALITÀ. Di Enrica Perucchietti
Articoli / Attualità

I Signori dell’Immortalità – Enrica Perucchietti

Colui che andò alla ricerca della pianta della vita

Correva l’anno 1839, quando un giovane membro dell’alta aristocrazia londinese, Austen Henry Layard, partì insieme all’amico Edward Mittford, alla volta di Ceylon. 

Mittford aveva intenzione di stabilirvi una piantagione di caffè ma, temendo il mare, decise di attraversare l’Asia via terra. Layard, che sognava di poter partire per l’estero, si offrì di accompagnarlo: non aveva idea che quel viaggio – che doveva durare solo qualche settimana – avrebbe cambiato la sua vita e che il soggiorno lontano da Londra si sarebbe protratto per anni.

Nel gennaio del 1840, i due raggiunsero Gerusalemme, dove si separarono per ricontrarsi ad Aleppo: proseguirono insieme fino al 10 aprile dello stesso anno, quando si fermarono per due settimane a Mosul, il nome che gli arabi musulmani avevano dato all’antica Ninive, la capitale dell’impero assiro. Qui Layard decise di fermarsi per esaminare le “colline di terra” poste nel deserto, i tell dell’Assiria, dove si narrava che esistessero ancora singolari sculture in pietra nera. 

Nel 1845, Layard cominciò gli scavi nella collina di Nimrud pensando di trovare delle iscrizioni: la realtà superò di gran lunga le sue aspettative, perché vennero alla luce le mura di due palazzi assiri di cui uno riconducibile al re assiro Assurnasirpal. 

Quattro anni dopo, Layard cominciò gli scavi sulla collina di Kuyunjik, dove riportò alla luce i resti dell’antica Ninive e del palazzo di Sennacherib. 

Le sculture colossali, le opere e le tavolette rinvenute vennero trasportate per mare al British Museum. L’opera di decifrazione delle venticinquemila tavolette strappate all’oblio millenario della terra in cui erano sprofondate, venne iniziata da Henry Rawlinson, prima a Baghdad e poi presso il British Museum al suo rientro a Londra, nel 1855.

Nel frattempo, l’assistente e successore di Layard a Ninive, l’archeologo Hormuzd Rassam, aveva portato alla luce nel 1853 quella parte di biblioteca in cui si trovavano le tavolette della redazione assira dell’opera letteraria scritta più antica al mondo: L’epopea di Gilgameš.

Nel 1870, fu pubblicata una traduzione in inglese dell’Epopea da parte dell’assiriologo George Smith, a cui fecero seguito altre traduzioni in varie lingue moderne. 

Il nome di Smith si legò, in maniera indissolubile, a quello di Gilgameš, re di Uruk, per due terzi dio e per un terzo uomo, «colui che andò alla ricerca della pianta della vita».

Gilgameš e il segreto degli dèi

I critici considerano L’Epopea come la prima opera letteraria volta a sottolineare la mortalità umana in opposizione all’immortalità degli dèi. Il nucleo dell’opera risiede nel lutto di Gilgameš che, dopo la morte dell’inseparabile amico Enkidu, intraprende una serie di avventure per conquistare il segreto dell’immortalità. Questa, infatti, è il nucleo centrale del racconto che conduce il re, disperato per la scomparsa dell’amico e angosciato dalla paura della morte, ai confini del mondo, dove vivono il saggio Utnapishtim e sua moglie, gli unici sopravvissuti al Diluvio Universale, ai quali gli dèi hanno concesso il dono della vita eterna. 

Dopo essere stato incalzato dal re di Uruk, Utnapishtim lo esorta a superare una prova che egli però fallisce. Durante il commiato, su invito della moglie, Utnapishtim, per dono, gli rivela infatti «un segreto degli dèi»: 

«C’è una pianta che cresce sott’acqua, ha spine come il rovo, come la rosa; ferirà le tue mani, ma se riuscirai a prenderla, allora nelle tue mani ci sarà ciò che ridà a un uomo la gioventù perduta».

Seguendo le istruzioni di Utnapishtim, il nostro eroe scava un canale e si immerge nelle sottostanti acque dell’Apsū, raccogliendo la pianta miracolosa. Gilgameš si decide, tuttavia, a non mangiarla subito, ma a condividerla con i vecchi di Uruk per provarne gli effetti. 

Intrapreso il viaggio di ritorno, il re di Uruk si ferma per lavarsi in una pozza d’acqua; mentre si purifica, un serpente si avvicina e, annusata la pianta della giovinezza, la mangia, perdendo così la sua vecchia pelle. A rinascere alla nuova vita è così il rettile, mentre Gilgameš è nuovamente disperato e piange amaramente la perdita della pianta. Ha sfiorato la conquista dell’immortalità e ora è destinato, come tutti gli esseri umani, a morire. 

Si presenta a Uruk a mani vuote, ormai conscio che l’immortalità sia appannaggio esclusivo degli dèi. Il re torna cambiato: «Vide misteri e conobbe cose segrete», recita il poema. Il suo popolo, all’inizio del racconto disperato per i suoi modi dispotici, lo accoglie trovandolo esausto dalla fatica del viaggio ma arricchito di esperienze e di saggezza.

La consapevolezza che acquisisce il re di Uruk lo pone in netto contrasto con altre figure mitiche successive che, invece, vengono punite con la disfatta o con la morte per non aver compreso il senso della vita e la lezione del limite: esse si sono rese colpevoli dell’unico peccato che le divinità non possono perdonare, l’hỳbris (dal gr. βρις).

Gli stregoni della Valley

Proprio il senso del limite è ciò che sfugge ai moderni stregoni della Silicon Valley che, accecati dal senso di tracotanza, si illudono di poter piegare le leggi divine e quelle biologiche e di diventare addirittura immortali…

Oggi, il tecno-progressismo della Valley esalta l’applicazione della tecnologia come il mezzo per risolvere tutti i problemi dell’Uomo, compresi la vecchiaia e la morte. 

Il biogerontologo Aubrey de Grey, per esempio, ritiene che molti esseri umani potranno raggiungere i mille anni di età ed evitare i problemi di salute legati all’invecchiamento. In Ending Aging paragona il corpo a un’auto d’epoca che «può essere salvaguardato indefinitivamente» se sottoposto a «periodica manutenzione» allo scopo di tenerla in perfette condizioni. La differenza di manutenzione tra un corpo e una macchina, spiega de Grey, è che si sottovaluta l’impatto sul metabolismo e ignoriamo ancora troppi dettagli del corpo umano.

Questa fiducia nella ricerca della longevità è diventata di gran moda, soprattutto nella Valle di Silicio: magnati delle Big Tech, scienziati, transumanisti e tecnocrati condividono l’ossessione per la ricerca dell’immortalità. Ognuno a modo suo.

Se Ray Kurzweil, uno dei padri della singolarità tecnologica, prende decine di pillole ogni giorno per mantenersi in salute, mentre il filosofo e futurista Max More, autore della celebre Lettera a Madre Natura ed ex presidente e amministratore delegato della Alcor, ha deciso di affidarsi alla crionica, Bryan Johnson, fondatore della Kernel, ha un team di 30 medici ed esperti di salute rigenerativa che supervisionano il suo regime e spende circa 2 milioni di dollari all’anno per far sì che il suo corpo riacquisti la giovinezza. Il cofondatore di PayPal, Peter Thiel, pensa invece di poter arrivare a vivere fino a 120 anni. Per un po’ di tempo sono circolate voci sulla macabra abitudine di Thiel di ricevere trasfusioni di plasma di ragazzi, ovviamente a pagamento (si tratta della parabiosi), per riuscire a ottenere la gioventù eterna.

Non ci si dovrebbe stupire perché nella Silicon Valley (e non solo) questa moderna forma di “vampirismo” è diventata una vera e propria moda fino all’intervento della fda (la Food and Drug Administration) che, con un comunicato stampa pubblicato il 19 febbraio 2019, ha messo in guardia i consumatori dalle aziende che propongono trasfusioni di sangue di individui giovani, allo scopo di rallentare i sintomi dell’invecchiamento, contrastare la perdita della memoria o curare una serie di malattie più serie, dall’Alzheimer al Parkinson. 

È bene insistere sul fatto che si tratta di un lusso per privilegiati, ed è anche un macabro esempio della forbice sempre più marcata tra paperoni e poveri, in cui quest’ultimi, nel caso siano giovani e in salute, arrivano a donare il proprio sangue facendosi letteralmente “vampirizzare” da dei folli accecati dal mito dell’eterna giovinezza.

Non illudetevi: è cosa da ricchi

Non nascondiamoci dietro a un dito: a chi non farebbe piacere frenare l’invecchiamento e vivere a lungo e in salute? 

Se è auspicabile rallentare l’invecchiamento, adottare uno stile di vita più sano (dieta, movimento fisico, integratori), ritardare la comparsa di patologie neurodegenerative e curare i disturbi correlati all’avanzare dell’età, altra cosa è calarsi nei panni di moderni stregoni pensando di poter correggere un “difetto di fabbricazione”, come se l’essere umano fosse un prodotto difettoso da modellare e aggiustare. Questo, però, è proprio il fulcro del transumanesimo: chi vi aderisce condivide una visione meccanicistica e riduzionista dell’esistenza umana per cui l’Uomo si ritiene obbligato a continuare la propria evoluzione come se fosse una macchina o un dispositivo da aggiornare. La filosofia di fondo del transumanesimo è la liberazione dell’Uomo dalla biologia. 

La rivoluzione biologica in atto comporta non solo la messa in discussione dell’identità e dell’essenza stessa dell’Uomo, ma anche il rischio di incrementare le diseguaglianze e ad ammetterlo è lo stesso fondatore del World Economic Forum e padre del Grande Reste, Klaus Schwab che nel suo libro La quarta rivoluzione industriale, prevede il rischio di una “disuguaglianza ontologica”, «[…] che traccerà un solco tra chi si adatta e chi si oppone, ovvero tra i vincitori e i vinti». 

Vi è infatti uno dei grandi nodi del transumanesimo (e in particolare dell’allungamento della vita): è cosa per ricchi. Come sottolinea l’ex presidente “pentito” di Facebook, il miliardario Sean Parker, gli squilibri nella distribuzione della ricchezza negli Stati Uniti rischiano di creare «dei signori supremi dell’immortalità», in grado di accedere alle più sofisticate e costose tecnologie medico-scientifiche.

Corpi senza età, anime (in)felici

Qua si affaccia il dilemma cardine del mio ultimo libro, I Signori dell’immortalità: siamo sicuri che la ricerca della vita eterna, declinata in chiave scientista, meccanicistica e riduzionista (perché equipara e riduce l’Uomo a una macchina o a un dispositivo tecnologico) non solo sia possibile, ma sia un bene da ricercare? E a quale costo? 

Se lo chiede, per esempio, il fisico Leon R. Kass nel breve saggio Corpi senza età, anime felici. La biotecnologia e la ricerca della perfezione, convinto che sia la mortalità a dare senso alla vita: «La finitudine riconosciuta incita all’aspirazione. Una buona aspirazione su cui si lavora è essa stessa il nocciolo della felicità».

Per dare significato e urgenza alle nostre vite, è cruciale sapere che non abbiamo abbastanza tempo, spiega Kass, sicuro che nella dimensione dell’immortalità il genere umano diventerebbe apatico e pigro:

«[…] il perseguimento di corpi perfetti e una ulteriore estensione della vita ci farebbero deviare dal realizzare più pienamente le aspirazioni alle quali le nostre vite puntano naturalmente, dal vivere bene piuttosto che meramente sopravvivere».

In linea con gli altri suoi libri, Kass nota come si pongano con urgenza delle questioni bioetiche sul perfezionamento e sul potenziamento umano (quali la deumanizzazione, l’eugenetica, il controllo, la restrizione della libertà, l’omologazione, l’omogeneizzazione, il conformismo, ecc.):

«D’altra parte, questa spinta verso una perfezione bio-ingegneristica mi colpisce come l’onda del futuro, che ci capiterà addosso prima che ce ne accorgiamo e, se non stiamo attenti, ci spazzerà via trascinandoci giù. Possiamo già vedere quanto i recenti risultati riguardo alla salute e alla longevità hanno prodotto non contentezza, ma piuttosto un crescente appetito ad averne di più».

Siamo lontani anni luce dal già citato Peter Thiel, che in un’intervista del 2012 a Business Insider, ha spiegato che 

«Tutti dicono che la morte è naturale, che è parte della vita, ma io penso che niente possa essere più lontano dalla verità. La morte è semplicemente un problema. Che va risolto».

La morte è un problema da risolvere

Un “problema” da risolvere. 

È questa la concezione che la Valley ha della morte; una ideologia che spinge i miliardari del calibro di Peter Thiel, Larry Page, Larry Ellison, Sergey Brin, Bryan Johnson, Mark Zuckerberg o Jeff Bezos a investire nella ricerca sull’immortalità. In linea con il credo transumanista, il compito dell’Uomo è, secondo Thiel, combattere la morte. Potenziare l’essere umano e sanare le imperfezioni della Natura.

La ricerca dell’immortalità, come anticipato, potrebbe comportare la più grande disuguaglianza che sia mai esistita sulla Terra. È doveroso evidenziare che solo chi avrà il sufficiente benessere economico potrà accedere alle ricerche nel campo della longevità e vivere quanto desidera, andando a creare un manipolo di eletti a cui sarà concesso di vivere più degli altri. Una élite di immortali contro la restante parte dei comuni esseri umani. I “Mat” (contrazione di Matusalemme) immaginati dallo scrittore e sceneggiatore britannico Richard K. Morgan nella sua trilogia Altered Carbon.

Lungi dal garantire una vera orizzontalità di possibilità e di diffusione del sapere, delle informazioni e delle conquiste nel campo della scienza e della tecnologia, le pulsioni utopistiche della Silicon Valley rimangono esclusive e rivolte a pochi, «a una piramide iper-verticistica che si modula e si atteggia come una monarchia magica e gnostica», come spiega Andrea Venanzoni in Il trono oscuro.

La palingenesi secondo i Signori della Valley 

C’è un altro punto che affronto nel mio libro: spesso si paragonano, in modo improprio, i progetti dei magnati della Silicon Valley all’alchimia. La moderna ricerca di un prolungamento indefinito della vita non ha nulla, se non sulla carta, in comune con la tradizione ermetica. L’obiettivo dell’alchimia, la trasmutazione, è degradata ed è diventata “parodia”, una scimmiottatura dell’Opus.

Lo scopo dell’alchimia tradizionale è riscattare l’Uomo e la Natura attraverso l’Opera di trasmutazione, realizzare la riunificazione dei poli della vita, nascita-morte, per aprirsi un varco e liberarsi dal ciclo dell’esistenza. Il processo alchemico, simbolizzato dall’immagine dell’ouroboros, il serpente che si morde la coda, allude all’evoluzione dell’uomo comune in un essere con una coscienza superiore che, attraverso la tramutazione, attua una metamorfosi spirituale. Questo processo non ha la presunzione di applicarsi all’umanità intera, anzi, è l’esatto opposto di un processo democratico o egualitario: solo l’iniziato può compiere e realizzare l’Opera. E non è nemmeno detto che ci riesca. Il percorso è assolutamente elitario, iniziatico, il più delle volte solitario, e impone il silenzio.

La modernità ha eroso la ricerca spirituale dell’ermetismo per rendere l’Uomo un mero dominatore della Natura. Ha però mantenuto il mito ottimista della rigenerazione spirituale che permeava l’ermetismo, facendosi influenzare dal cosmismo russo, i cui temi principali, come ben illustrato da George B. Young, comprendono il ruolo attivo dell’Uomo nell’evoluzione umana e cosmica, la creazione di nuove forme di vita, l’estensione illimitata della longevità umana a uno stato praticamente immortale, la resurrezione fisica dei morti, l’esplorazione e la colonizzazione dell’intero universo e altri “progetti” di ampia portata.

Il cosmismo russo e l’immortalismo scientifico

Per il cosmismo russo, l’“evoluzione attiva” è confluita nel transumanesimo, di cui i cosmisti russi possono essere considerati come precursori diretti. In comune con la visione del transumanesimo, infatti, l’Uomo ha il complito di modellare e di portare a compimento l’evoluzione dell’umanità.

Secondo Svetlana Semënova, accademica, specialista in storia della filosofia russa, critica letteraria e propugnatrice del cosmismo, l’Uomo si pone «alla guida dell’evoluzione», divenendo responsabile del futuro sviluppo su questo pianeta ma anche in tutto il cosmo.

Col passare degli anni, questa dottrina metafisica è divenuta, secondo la definizione di George L. Kline, una forma di «teurgia prometeica», influenzando il pensiero transumanista, con l’ambizione, da una parte, di migliorare e potenziare l’essere umano attraverso la tecnologia, dall’altra, con l’aspirazione di colonizzare il cosmo. 

La Silicon Valley ha abbracciato queste istanze, subendo il fascino delle tematiche esoteriche e magiche, finendo però per generare una utopia collettivizzante, fintamente democratica. 

L’altro punto che il cosmismo russo condivide con l’ideologia della Valley è il tentativo di abbattere la morte, tematica cardine del transumanesimo e dell’immortalismo culturale e scientifico. I magnati californiani, infatti, conservano la stessa incrollabile fiducia nella scienza e la medesima speranza nelle sconfinate capacità dell’Uomo nel raggiungere l’immortalità che cullavano i cosmisti russi. 

La scienza, per Nikolaj Fёdorov, considerato il fondatore del cosmismo, è uno strumento datoci da Dio per permetterci di conquistare l’immortalità e persino resuscitare i morti (quale migliore esempio della salma di Lenin custodita nel mausoleo piramidale a gradoni sulla Piazza Rossa?). 

L’“Opera Comune” della resurrezione dei padri è per Fëdorov un comandamento divino all’uomo («Triuno è il solo Dio, e la risurrezione è il suo comandamento»), inscritto nel modello della resurrezione di Cristo. Per Fëdorov, la morte è il principale avversario da abbattere: essa è il «nemico laico» dello sviluppo umano. L’Uomo «quale dovrebbe essere» non solo è immortale, ma deve anche impegnarsi nel compito di rendere immortali tutti gli altri uomini. 

Per Fëdorov, la Natura è un nemico “provvisorio”: l’Uomo ha il compito di correggere quelle forze cieche e distruttive della Natura che lo tengono in ostaggio, facendolo soffrire e morire. La completa ricreazione dell’“Opera Comune” non consiste, quindi, semplicemente nel far risuscitare gli antenati, ma nella trasformazione radicale della natura materiale precedente, come anche della natura stessa di coloro che resuscitano, che deve diventare funzionalmente e organicamente un’altra, subordinata alla coscienza. 

Un’alchimia sociale

I Signori dell’immortalità sperano di conseguire per sé il segreto per dominare il Tempo e, intanto, aspirano a controllare miliardi di persone, vendendo loro l’illusione di poter banchettare allo stesso tavolo, partecipando delle meraviglie del progresso. 

Dietro l’apparente libertà che va a corrodere il vecchio ordine sociale, che dichiara di poter divenire chiunque o qualunque cosa si voglia, ci si illude di potersi porre al di sopra delle leggi naturali. 

Gli ideali alchemici hanno subìto un processo di svuotamento e secolarizzazione, convogliando in quella dottrina visionaria e prometeica che è il transumanesimo. La tecno-gnosi propugnata dalla Silicon Valley coltiva la pretesa di destrutturare il vecchio mondo per sostituirlo con uno nuovo, plasmato in base all’ideologia di un manipolo di miliardari. È semmai una forma di alchimia sociale, volta a trasmutare la società, come il cosmismo ambiva a trasmutare il “rodstvo”, ciò che unisce i singoli ai molti (“parenti”, “patria”, “nazione-popolo”). 

Solo dopo un faticoso e lungo percorso iniziatico, l’Uomo può accedere ai misteri dell’esistenza. La Tradizione ci ha consegnato diverse strade, diversi sentieri a disposizione dell’Uomo che voglia lavorare su di sé e ottenere il risveglio spirituale. 

L’eternità è una condizione a cui l’anima è stata strappata, incarnandosi su questo mondo, e che nessuno stregone della Valley – terrorizzato dal suo destino di creatura terrena – potrà mai replicare. 

Se, citando Gurdjieff, «L’anima va acquisita», l’eternità va conquistata.

Perché i sogni di silicio che i Signori dell’immortalità ci offrono non donano la beatitudine della grazia, ma concorrono a nascondere una realtà di morte.

Di Enrica Perucchietti

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